Sapevi che Ferdinando I, facendo seguito ad una serie di provvedimenti del 1816, volti ad educare alla scenografia e a sottolineare l'importanza del ballo, volle adottare insegnamenti analoghi anche in altre città. Così decise, in effetti, con un decreto del 1818. Sulla richiesta dell'Intendente (il prefetto di allora) della provincia di Calabria citeriore, in quell'anno il primo sovrano duosiciliano diede il via all'istituzione di un'accademia di musica e ballo a Cosenza, approvandone contestualmente il relativo regolamento.
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QUESTO BLOG PROPONE I REGESTI DI ATTI PUBBLICATI SULLA "COLLEZIONE DELLE LEGGI E DECRETI REALI DEL REGNO DELLE DUE SICILIE" TRA IL 1815 E IL 1860. ALCUNI FRA GLI ATTI PRINCIPALI SARANNO RIPORTATI, INTEGRALMENTE, ALL'INTERNO DI APPOSITE BLOG-APPENDICI DOCUMENTARIE.
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domenica 15 marzo 2015
mercoledì 10 aprile 2013
Il Governo dei Saggi (1821)
Sapevi che anche nel Regno delle Due Sicilie fu nominato un gruppo di saggi che potesse garantire, attraverso la formulazione di una piattaforma di proposte, il miglioramento della situazione politica ed economica. In effetti, a seguito dei moti del 1820-21, e nel corso del congresso di Lubiana, Ferdinando I s'impegnò con le monarchie d'ancien régime, e in particolare con l'Austria di Metternich, che poi sarebbe intervenuta in suo soccorso, ad adottare strumenti volti a garantire la stabilità del governo. In tal senso ne scrisse al figlio, il futuro Francesco I, nel gennaio 1821. Nella sua Lettera, il primo sovrano delle Regno delle Due Sicilie spiegava che le potenze europee richiedevano espressamente che egli si circondasse di uomini saggi, che potessero offrire consigli utili per ripristinare e mantenere la sicurezza interna e, in conseguenza, quella degli Stati vicini. Pertanto, una volta rientrato a Napoli, nel maggio 1821, Ferdinando I promulgò uno specifico decreto, che istituiva una giunta temporanea composta di alcune personalità, prescelte fra i più probi e savj sudditi, da consultare in relazione ai principali interessi dello Stato, onde garantire per sempre il riposo e la prosperità pubblica. A differenza delle più recenti vicende politiche italiane, detto gruppo era più nutrito, giacché registrava non dieci ma diciotto nomi. Chi erano i saggi nominati dal sovrano? La lista comprendeva sia volti noti della diplomazia, dell'esercito e dell'entourage ferdinandeo, da Tommaso di Somma (già più volte ministro e cancelliere) al cardinale Fabrizio Ruffo, da Antonio Capece Minutolo (prima dell'esilio) a Nicola Filangieri, daGiovanni Battista Fardella a Francesco Lucchesi Palli, da Fulco Ruffo di Calabria a Antonio Statella, da Lodovico a Francesco Loffredo, sia volti meno noti, per lo più tecnici e giuristi di lunga esperienza, quali Giambattista Vecchione, Carlo Avarna, Raffaele de Giorgio, Giovanni d'Andrea, Vincenzo Marrano e Francesco Pasqualino, sia ancora esponenti di spicco della cultura ecclesiastica, come il vescovo filologo Carlo Maria Rosini e l'abate educatore Domenico Sarno.
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giovedì 4 aprile 2013
Il Presidente del Consiglio che (non) manca
Sapevi che nel Regno delle Due Sicilie la carica di presidente del Cosiglio fu istituita nel 1822 e che il primo a ricoprirla (sino all'agosto del 1823) fu un ambasciatore di stanza a Vienna. Il 4 giugno 1822, in effetti, Ferdinando I regolamentò con decreto l'organizzazione e la composizione sia del Consiglio di Stato, sia del Consiglio dei ministri. I due organi dovevano essere presieduti dallo stesso ministro, in particolare, per quanto riguardava il primo, durante l'assenza del re o del duca di Calabria suo figlio. Le prerogative di questa nuova figura, comprendenti anche quelle dell'abolita carica di ministro cancelliere, erano disciplinate dagli artt. 13 e 14 del predetto regolamento: il presidente, tramite di tutte le decisioni del sovrano, doveva moderare e dirimere le discussioni in seno al Consiglio, determinare la richiesta di eventuali chiarimenti sugli affari in discussione, curare l'esecuzione delle nomine ministeriali e statali, sottoscrivere leggi e decreti e curarne conservazione e pubblicazione. Ebbene, il regolamento in questione recava in calce, sotto il nome del sovrano, la firma del principe Ruffo, nelle vesti - appunto - di Presidente del Consiglio de' Ministri. Ma chi era costui? Ne dà conto un altro decreto, del giorno successivo (5 giugno), con il quale il primo sovrano del Regno delle Due Sicilie destinava alla ricordata carica Alvaro Ruffo, ministro plenipotenziario a Vienna (in precedenza era stato ambasciatore a Lisbona e a Parigi). Insignito nel 1815 del titolo di principe, egli avrebbe di buon grado accettato la presidenza, conservando tuttavia la collocazione diplomatica presso l'impero austriaco e, anzi, assommandovi anche l'incarico di ministro degli affari esteri, a seguito della rinuncia del marchese di Circello. Non è un caso che, con la nomina di Ruffo, Ferdinando I abbia espressamente previsto la possibilità di delega ad un interino, che facesse le veci del ministro-presidente quando questi si fosse trovato all'estero. Quel presidente interino sarebbe stato il ministro delle finanze Luigi de' Medici, come previsto da uno specifico decreto e come attestato dagli atti pubblicati sulla Collezione delle leggi duosiciliane. Sta di fatto che il diplomatico rimase presidente del Consiglio fino al 16 agosto 1823, dopo la decisione di rimanere a Vienna, dove la morte lo colse nel luglio 1825, ormai regnante Francesco I. Tuttavia, del ricordato ruolo istituzionale del Ruffo si è persa la memoria. Anche a Wikipedia, per usare un gioco di parole, manca il non mancante presidente del Consiglio del Regno delle Due Sicilie, carica per quello stesso periodo da taluni attribuita, erroneamente, al Medici.
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martedì 9 marzo 2010
Contrabbando, no all'area franca (1823)
Sapevi che l'esperienza della scala-franca di Napoli, istituita nel 1817 nell'ambito della Legge organica sulle dogane, durò soltanto pochi anni. Ferdinando I, in effetti, tornando sui suoi passi, decise di eliminarla alla fine del 1823. Lo scalo libero serviva in sintesi, secondo l'originario intervento legislativo, per tutti quei bastimenti che, approdando dall'estero nei porti di Napoli e dell'isola di Nisida, trasportavano mercanzie di qualsiasi genere. Esse, se dichiarate e quindi immagazzinate per scala-franca, potevano essere successivamente in tutto o in parte riesportate senza pagar dazio, salvo il diritto di collaggio. Tuttavia, come si legge sul decreto del 1823, una siffatta esperienza aveva dimostrato che la facoltà di riesportazioni dalla scala-franca di Napoli non serviva altro che di pretesto per contrabbandare le mercanzie, in tal modo pregiudicando gli interessi sia dell'amministrazione doganale sia del commercio. Il suo posto venne preso, come stabilito nel medesimo decreto, da un apposito deposito, in cui le merci potevano giacere fino a due anni, con pagamento della metà del dazio al termine del primo anno e la restante parte allo scadere del secondo. Non erano ammessi nel magazzino doganale i generi la cui importazione era proibita, fra i quali le armi, i fazzoletti Balazor, il cotone filato a mano e l'arbacio, oltre a quelli oggetto di privativa.
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mercoledì 3 marzo 2010
Carceri affollate, processi più veloci (1824)
Sapevi che l'incremento di misfatti e quindi di detenuti determinò nel Regno delle Due Sicilie il problema dell'affollamento delle prigioni, imponendo all'attenzione sovrana il bisogno di ricorrere a misure che garantissero celerità nei processi. Fu per questa ragione, in effetti, che Ferdinando I approvò, nel gennaio 1824, un decreto con il quale si regolamentava la classificazione e il giudizio da compiersi per alcune specie di misfatti. Dividendo gli imputati, già in carcere o in attesa di giudizio o contumaci, in due classi: 1. processabili nelle forme vigenti; 2. processabili in forma sommaria e con riduzione della pena (in sostanza con rito abbreviato). Nella prima classe rientravano coloro che avevano commesso reati contro lo Stato, misfatti militari, misfatti comuni punibili con la morte o con l'ergastolo nonché i rei di resistenza alla forza pubblica. Nella seconda erano invece contemplati tutti gli autori di misfatti non rientranti nella prima classe.
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sabato 27 febbraio 2010
Naturalizzare gli stranieri (1817)
Sapevi che il primo sovrano del Regno delle Due Sicilie regolamentò i casi e i modi per naturalizzare gli stranieri. Così stabilì, in effetti, alla fine del 1817. Con una legge che ammetteva al suddetto beneficio coloro i quali, durante un anno di domicilio, avessero: reso importanti servigi allo Stato; apportato talenti, invenzioni e industrie utili allo Stato; acquistato beni immobili, pagando la tassa (fondiaria) di almeno cento ducati l'anno. Ne potevano usufruire anche gli stranieri che, provando di avere onesti mezzi di sussistenza, avessero risieduto nel Regno per dieci anni consecutivi, oltre a coloro che, avendo sposato una regnicola, vi avessero risieduto consecutivamente per cinque anni. In ogni caso occorreva avere la maggiore età. Ferdinando I prescrisse anche che, una volta ottenuto il decreto di ammissione, il naturalizzato si doveva recare dall'intendente della provincia di dimora per prestare il giuramento di fedeltà.
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martedì 23 febbraio 2010
Banditismo di confine (1820)
Sapevi che nel 1820, al confine tra il Regno delle Due Sicilie e lo Stato Pontificio, vi era una concentrazione tale di banditi e malviventi da richiedere duri metodi repressivi. In effetti, riprendendo i provvedimenti contro il brigantaggio del 1815 e 1816, e una convenzione con la Santa Sede per purgare i malviventi di confine del 1818, il primo sovrano duosiciliano fu costretto ad adottarne di analoghi. In particolare, con un decreto del marzo 1820, Ferdinando I nominava commissario nei distretti di Sora e Gaeta con poteri di alter-ego limitati il comandante della prima divisione militare, tenente-generale Amato, per l'esterminio de' malfattori che infesta[va]no le campagne del regno finitime collo Stato romano. Vi si prevedeva che gli iscritti nelle liste di fuorbando dovessero essere puniti con la morte, così come i banditi che, pur non essendo citati, si fossero battuti contro la forza pubblica. Il relativo giudizio, che spettava ad una Commissione militare straordinaria, composta di tre ufficiali e un relatore, doveva essere compiuto ed eseguito nello spazio di 24 ore, senza possibilità di appello. Amato, deceduto dopo due mesi, venne sostituito con gli stessi poteri, a ratifica del precedente provvedimento, dal maresciallo di campo Raimondo Capece Minutolo. Con un altro decreto, promulgato nell'agosto 1821, sulla scorta degli analoghi provvedimenti repressivi adottati nello Stato Pontificio, e quindi sul fondato pericolo che i malviventi ivi perseguiti potessero entrare nel Regno, Ferdinando I istituì 4 corti marziali, ognuna delle quali composta da 6 ufficiali, per procedere al giudizio "in direttissima" dei fermati. Anche le loro decisioni dovevano essere eseguite entro ventiquattrore, punendo in particolare con la morte tutti quelli che in comitiva armata (composta di almeno 3 elementi) avessero commesso misfatti o delitti di qualunque natura. Stessa pena era prevista per quelli che li aiutavano. Tale decreto inaspriva le già rigide prescrizioni per il fuorbanditismo, prevedendo (art. 8) che gli iscritti nelle relative liste potessero essere uccisi da chiunque. Il premio per l'uccisione di un capo-banda era di 100 ducati, la metà per gli altri individui. Ma era prevista anche una "speciale" amnistia: se entro un mese dall'entrata in vigore del decreto un malvivente avesse ucciso un altro malvivente il cui nominativo era nella lista il reato gli sarebbe stato "condonato" e, se a perire fosse stato il capo della banda, gli sarebbe spettato anche il relativo premio.
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domenica 21 febbraio 2010
Tabacco libero, ma solo a Lecce (1824)
Sapevi che sotto Ferdinando I venne liberalizzata la coltivazione del tabacco solo a Lecce e nel Principato citra (Salerno). Una problematica sul tema, in effetti, si era presentata all'attenzione del predetto sovrano borbonico nel 1824, allorché si dovettero conciliare i rigori delle privative già assegnate, che in parte minavano la libera concorrenza, con l'esigenza dei proprietari delle foglie di poter soddisfare le proprie aspettative di vendita. Sicché, con un decreto firmato nel marzo di quell'anno, si cercò di dirimere la questione, anche sulla base dei precedenti storici. Secondo i quali la coltura delle piante di tabacco era vieppiù sconosciuta nel Regno delle Due Sicilie, con eccezione della Terra d'Otranto, o comunque poco praticata, ma solo per la cosiddetta erba santa. La conseguenza fu che, con i 5 articoli del decreto del 1824, da una parte si vietò sia la piantagione che la coltivazione del tabacco nei domini al di qua del Faro, permettendola invece, dall'altra parte, ai produttori della sola provincia di Lecce, sia pure previo rilascio di licenza e per quantità limitate alle necessità delle fabbriche cui era stata concessa la privativa. Tale possibilità fu concessa anche ai coltivatori dell'erba santa nella sola provincia di Salerno.
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martedì 16 febbraio 2010
I monumenti non si toccano (1822-1839)
Sapevi che era vietato portare fuori dal Regno delle Due Sicilie opere d'interesse storico ed artistico. Così stabilì, in effetti, Ferdinando I. Che, con un decreto del maggio 1822, vietò di togliere dal posto in cui si trovavano quadri, statue, bassorilievi, oltre a tutti gli oggetti e monumenti d'arte e storici. Presenti tanto negli edifici pubblici e nelle chiese quanto nelle cappelle soggette a diritti di patronato. Il decreto vietava anche di demolire o comunque di arrecare degrado ad antiche costruzioni, pur se ricadenti in fondi privati, come nel caso di templi, basiliche, teatri, anfiteatri, ginnasi, acquedotti, mausolei di pregiata architettura e mura di città distrutte. Era proibito, infine, esportare qualsiasi oggetto d'arte e d'antichità, anche se di proprietà privata, senza preventivo permesso. Che sarebbe stato eventualmente accordato soltanto in mancanza di un merito tale da interessare il decoro del Regno. Sarebbe stata chiamata a giudicare l'oggetto, stabilendone il merito, l'istituenda Commessione di antichità e belle arti. Successivamente, nel settembre 1839, Ferdinando II volle adottare un decreto che, richiamandosi a quanto sopraprescritto, desse maggior efficacia alle misure per conseguire l'importante fine di preservare da ogni degredazioni i pregevoli monumenti antichi e di arte. In tal senso stabilì che gli stessi fossero posti sotto la sorveglianza delle autorità amministrative dipendenti dal Ministero degli affari interni e che dovessero essere ben conservati dai proprietari. Essi, in particolare, avrebbero dovuto vigilare perché non si alteri né si deturpi l'antico con lavori moderni, senza eseguire restauri privi di permesso, da rilasciarsi previo esame e parere dell'Accademia di belle arti. Le contravvenzioni sarebbero state considerate come violazione dei monumenti pubblici. Il decreto del 1839 stabilì, inoltre, che monumenti di particolar pregio, suscettibili di essere conservati in modo migliore e di essere utili allo accrescimento de' mezzi di eccitare il genio della gioventù coll'esempio degli antichi maestri nell'arte, potessero essere trasferiti dal sito originario al Museo Borbonico, ove sarebbero stati esposti alle osservazioni degli amatori e de' dotti, ed all'istruzione del Pubblico. Al loro posto, sarebbero stati messi o delle copie o degli adeguati ornamenti a spese del predetto Museo. Ciò non valeva per i quadri delle chiese che, ancorchè capolavori, dovevano restare nel luogo originario, ferma restando la stretta vigilanza.
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